Dopo Milano – per meglio dire dopo l’aggressione al Presidente del Consiglio in piazza Duomo – sono lupostate dette molte cose. Talora con l’intenzione chiara di riflettere per capire se a questo episodio poteva essere dato un senso, talaltra per cavalcare l’occasione di ammantare la figura dell’aggredito dell’aura di vittima, caricando invece le figure più scomode dell’opposizione di tratti odiosi e malvagi. Tutto questo mentre si proclama che si faranno le riforme e che si intende farle insieme all’opposizione.

Infatti, mentre il Presidente del Consiglio lancia e conferma il partito dell’amore «L’amore vince su tutto, anche sull’odio contro l’avversario politico che rende violente le menti più fragili», «I nostri avversari hanno ironizzato, dicendo che stiamo quasi dando vita a un partito dell’amore. Io lo dico senza ironia: è proprio così», mentre lo stesso Presidente del Consiglio annuncia con enfasi le riforme per il 2010 «L’anno prossimo faremo tutte le riforme istituzionali, in tutte le direzioni», l’on. Italo Bocchino fa capire con estrema chiarezza che anche qui lo scopo del centro destra è di spaccare e frammentare il centro sinistra: «L’ala riformatrice del Partito Democratico batta un colpo e si faccia sentire rispetto ai sabotatori del dialogo e del percorso condiviso per varare le riforme». «Fin quando i no vengono da Di Pietro appartengono alla propaganda di chi cerca un voto in più ai danni dell’alleato, ma se a mettere i bastoni tra le ruote è il capogruppo alla Camera del Partito Democratico il problema diventa serio, perchè è oggettivamente difficile discutere di convergenze con la manifesta divergenza che c’è nell’opposizione. Bersani faccia sentire alta e forte la voce dell’anima riformista e dica con chiarezza quali riforme sonoagnellopossibili per il Pd». Insomma, se le riforme non si faranno sarà colpa del Partito Democratico, eterna area degli svincoli e sparpagliati – ala riformatrice del PD, ala non riformatrice di chi mette i bastoni fra le ruote guidata dal capogruppo alla Camera Franceschini. E giù i consigli a Bersani:«Bersani faccia sentire alta e forte la voce dell’anima riformista e dica con chiarezza quali riforme sono possibili per il Pd».

insomma sarebbe Bersani a dover portare il programma delle riforme. Sbaglio o al governo c’è una coalizione di centro destra? Faccia almeno una proposta! Almeno quello! Anche perché lo stesso Bersani lo ha già detto in tutte le lingue che la disponibilità c’è «noi siamo pronti a discuterne anche prima delle regionali», ma solo se «da gennaio si parlerà in Parlamento di superamento del bicameralismo; riduzione del numero dei parlamentari; una legge sui partiti; una legge elettorale che consenta di non nominare i parlamentari». Si può essere più chiari di così?

Ma in tema di “dopomilano” e di riforme si esprime anche un amico che non ha peli sulla lingua, Andrea De Pasquale, che – oltre a svolgere un prezioso lavoro di partecipazione critica alle sedute del Consiglio Comunale di Bologna insieme ad un gruppo di cittadini – invia periodicamente alcune riflessioni di carattere politico più ampio che pubblico volentieri, ritenendole una buona base di discussione. Eccole qua.

sciacallo” …  non posso tacere il disagio vissuto a valle della sassata in faccia a Berlusconi di domenica 13 dicembre. Il gesto di un folle, da condannare senza se e senza ma, è servito al centrodestra per accreditare la tesi per cui il vero responsabile dell’aggressione sarebbe “il clima di odio”, unilateralmente attribuito dal coro di ministri, capigruppo e portavoce PdL all’opposizione, alla libera informazione, alla magistratura, esplicitamente indicati come complici e mandanti dell’aggressione.

A mio giudizio troppi, anche nel PD, si sono adattati a questa tesi, mentre voci libere e obiettive come la Bindi sono state additate come estremiste. Ma cosa aveva detto la Bindi? Una cosa a mio giudizio evidente a chiunque sia obiettivo, ovvero che del clima di odio Berlusconi non poteva dirsi solo vittima, ma anche artefice.

Basta riguardarsi i giornali e i telegiornali dei giorni precedenti per rendersi conto di come il presidente del Consiglio avesse deliberatamente intrapreso una escalation di toni e di linguaggio contro quelli che considera suoi nemici personali: l’opposizione parlamentare, la magistratura, la stampa da lui non controllata, la Corte Costituzionale e la Presidenza della Repubblica.

Parliamo insomma dell’uomo che da quando ha vinto le elezioni ha sempre dichiarato che con questa opposizione è inutile dialogare, perché è priva di ogni credibilità e legittimazione. Che ha dato dei coglioni agli elettori del centrosinistra e dei disturbati mentali ai magistrati, per il solo fatto di aver scelto quel mestiere. Che ha definito la Corte Costituzionale un organo politico e non di garanzia, e che ha sprezzantemente respinto il richiamo all’equilibrio del Quirinale, suggerendo a Napolitano di occuparsi piuttosto dei magistrati da lui giudicati eversivi. Che ha letteralmente rivendicato come merito politico quello di “avere le palle”, mentre un suo ministro ha simpaticamente invitato l’opposizione di sinistra ad “andare a morire ammazzata”.

Senza andare troppo indietro, sul Corriere di domenica 13, il giorno stesso dell’aggressione, il rispetto da parte di Berlusconi e dei suoi uomini per le istituzioni è così espresso: Gaetano Pecorella, deputato PdL ed avvocato del premier, intervistato afferma “La Corte Costituzionale agisce da organo politico, e si sovrappone alla volontà popolare” (pag. 11), mentre lo stesso premier dice “le riforme devono essere fatte ad ogni costo, chi ci sta ci sta“, e definisce l’invito al dialogo con l’opposizione “tentativo di mettergli i bastoni tra le ruote” (pag. 5).

Va bene allora la solidarietà all’uomo ferito, e la condanna chiara e netta della violenza. Ma non perdiamo la memoria dei fatti.

Quelle che Berlusconi ha definito, appena rientrato dal San Raffaele ad Arcore, calunnie e campagne di delegittimazione nei suoi riguardi, sono spesso semplici dati di fatto, pubblici ed accertati, anche se oscurati dal coro dei media a lui compiacenti. E’ un fatto, non una calunnia, che il premier ha trovato naturale ricompensare con cariche pubbliche sue privatissime compagne di letto. E’ un fatto, come ha ben sintetizzato Paolo Serra, che Berlusconi si sia salvato dalla condanna (nei pochi processi scampati a prescrizioni, impedimenti e ostacoli vari), riparandosi nel ruolo di “mero proprietario di aziende i cui dirigenti, a sua insaputa, hanno certamente corrotto la Guardia di Finanza ed il cui legale, a sua insaputa,  ha certamente corrotto due giudici ed un testimone, il tutto senza essere oggetti di richiesta di danni morali da parte sua, bensì di lucrose ricompense e carriere, anche politiche“.

Queste non sono calunnie e campagne d’odio, sono pezzi di storia personale e imprenditoriale dell’uomo che ci governa, e che ha sempre evitato di fare chiarezza sul suo passato e sulle strade (o scorciatoie) che l’hanno condotto al successo. Poi ci sono sicuramente anche dei magistrati di parte e degli oppositori sguaiati, ma non confondiamo la pagliuzza con la trave.

E ricordiamoci dell’apologo di Fedro, dove il lupo (che sta a monte) accusa l’agnello (che sta a valle) di intorbidargli l’acqua del ruscello. Non caschiamoci anche noi. Impariamo a smascherare gli sciacalli, che dell’episodio di Milano hanno cercato di fare un’occasione di beatificazione del premier e di demonizzazione di tutti quanti non si battevano abbastanza il petto per non aver sufficientemente amato e difeso il Capo.

coyoteE impariamo anche a diffidare dei coyote che, nel nostro campo, accettano questo gioco riproponendo inciuci e accordi. Sono dotati di sensi finissimi, i coyote: hanno baffi sensibili, fiutano l’aria, colgono le opportunità. Tramontata una poltrona a Bruxelles, eccone sorgere una a Roma, per la quale è consigliato abito scuro e sostegno bipartisan. E si fanno trovare pronti.

L’opposizione però è un’altra cosa. Bene hanno detto Veltroni Franceschini in proposito. E tutto sommato bene si è comportato Bersani, che si sta rivelando meglio di quanto io non temessi. Perché non possiamo permettere che la storia venga rovesciata. Come ha cercato di fare il ministro Sacconi 4 giorni fa a Bologna, quando ha detto che Marco Biagi fu vittima di un clima di odio simile a quello che ha armato la mano del giovane milanese contro Berlusconi. Rammento a Sacconi che Marco Biagi, uomo di centrosinistra, fu lasciato indifeso dal governo Berlusconi, e segnatamente dal ministro Scaiola, che definì “rotture di coglioni” le ripeture richieste di protezione del professore bolognese nel mirino delle BR. Non possiamo accettare che nel nome del “dialogo” passino distorsioni così macroscopiche della realtà”.

Comments are closed.